Il dio dei corpi

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Un romanzo breve, semplice e visionario. Una storia di arte, cibo e psicofarmaci. Una scrittura materica, in perenne lotta con la fatica d'esistere.

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Il dio dei corpi

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Ecco com'è fatto

Alfredo Venti è un artista. Vive con un bambino, ma lui non è suo figlio insegna disegno in un istituto d'arte, ma è lo zimbello degli studenti. Sta lavorando, da anni, a un'opera che lui chiama L'eternità, e non è altro che una stanza del suo appartamento nella quale accumula, quasi come un barbone, cose trovate per la strada, rifiuti, ritagli di giornale, pezzi di computer, bambole rotte, avanzi di cibo, fotografie stracciate: come se riunendo in un solo luogo una collezione di frammenti di mondo fosse possibile restituire un'immagine del mondo, ed eventualmente un suo senso. Ma L'eternità, opera per definizione interminabile, sta distruggendo Alfredo Venti.

Senza rendersene conto però Alfredo Venti creerà un'altra opera d'arte, risolutiva. Il dio dei corpi, appunto: l'armadietto dei medicinali e degli psicofarmaci che consuma compulsivamente, unica forma di cura di sé che egli è in grado di praticare.

Ambientato in quella Pfeffingerstrasse affollata di personaggi misteriosi che per Marosia Castaldi è un luogo mitico - vi ha ambientato anche Il ritratto di Dora e Per quante vite -, Il dio dei corpi è a sua volta un romanzo-cura, un armadietto di medicinali psichici, una forma di resistenza estrema al divorante, maschile dilagare dell'eternità.

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