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Il 5 febbraio 1968 don Luisito Bianchi iniziava il lavoro presso la Montecatini di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, come operaio turnista addetto alla lavorazione dell'ossido di titanio.

Come aveva spiegato al suo vescovo - cui aveva strappato un tiepido assenso a questa esperienza come operaio -, si trattava di una faccenda d'onestà ("dopo tanti anni in cui ho parlato del lavoro e della sua teologia..."). E una faccenda d'onestà sono queste pagine che raccontano la fabbrica.

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Ecco com'è fatto


Il 5 febbraio 1968 don Luisito Bianchi iniziava il lavoro presso la Montecatini di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, come operaio turnista addetto alla lavorazione dell'ossido di titanio.

Come aveva spiegato al suo vescovo - cui aveva strappato un tiepido assenso a questa esperienza come operaio -, si trattava di una faccenda d'onestà ("dopo tanti anni in cui ho parlato del lavoro e della sua teologia..."). E una faccenda d'onestà sono queste pagine che raccontano la fabbrica: "Tre anni che reputavo allora e, a maggior ragione, oggi la cerniera delle due ante della mia vita, del prima e del dopo". Non esistevano altre finalità in questa scelta, nemmeno quella di rendere testimonianza, se non di vivere in "campo aperto".

Ne esce un libro che, già nel 1972 - quando venne pubblicato la prima volta -, si impose come "singolare e unico" rispetto agli altri racconti di fabbrica circolanti negli anni Settanta. Una storia che non si lascia classificare, a volte annotata con l'immediatezza di un diario (su foglietti che Luisito si portava in reparto) e la potenza narrativa di uomini - Andrea, Amos, Giovanni, Luca e molti altri: veri personaggi da romanzo - incontrati e conosciuti nella quotidianità di una vita ritmata da orari che strutturano i giorni, gli anni, la vita intera. Tre anni di fabbrica, la cui cronaca - il lavoro, lo stipendio, gli aumenti, le lotte sindacali, gli scatti di carriera, le lunghe conversazioni - è intercalata da riflessioni che non si sa se definire profonde o paradossali, talvolta piene di tristezza ma piùspesso di serena ironia. "Non faccio dunque teorie, ma racconto, semplicemente quello che è capitato a un prete, coi suoi limiti e la sua sensibilità, cui il pensiero di fare della sociologia, della teologia o della pastorale era tanto lontano quanto quello di essere lui stesso un sociologo o un teologo o un operatore pastorale".

Esperienza personale che include il dramma di "cogliere la frattura tra annuncio e credibilità" da cui scaturisce una prospettiva utopistica - quella della Gratuità, dell'annuncio senza contraccambio - che i libri e i giorni di Luisito Bianchi non hanno mai cessato di esprimere e, sorprendentemente, di attuare.

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